malati di Alzheimer o demenza, retta RSA

Chi paga la retta in RSA per malati di Alzheimer o demenza?

 Il diritto al rimborso secondo la giurisprudenza più recente

Una delle domande più frequenti che si pongono i familiari di persone affette da morbo di Alzheimer o demenza senile riguarda la responsabilità del pagamento delle rette di ricovero presso le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), pubbliche o convenzionate. Si tratta di spese che, spesso, superano i 2.000 euro mensili, e che vengono richieste direttamente al paziente o ai familiari, anche mediante impegni scritti sottoscritti all’ingresso in struttura.

Ma è davvero legittima tale prassi? Chi è, in diritto, tenuto al pagamento? E soprattutto, è possibile ottenere la restituzione delle somme già corrisposte? A queste domande la giurisprudenza ha dato negli anni risposte importanti, culminate in un indirizzo ormai consolidato.

La sentenza apripista: Cassazione n. 4558/2012

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4558 del 22 marzo 2012, ha segnato un punto di svolta. Ha stabilito che, quando il ricovero implica prestazioni sanitarie necessarie, la retta deve essere interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Né il malato né i suoi familiari, pertanto, possono essere gravati di tali spese, né può il Comune rivalersi su di loro.

Il principio si fonda sull’art. 32 della Costituzione, secondo cui la tutela della salute è un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della collettività. Quando le prestazioni sanitarie costituiscono l’elemento prevalente e sono inscindibili da quelle assistenziali, l’intera prestazione dev’essere qualificata come sanitaria e quindi gratuita.

L’integrazione inscindibile tra cure sanitarie e assistenza

In base alla giurisprudenza di legittimità, il criterio per distinguere tra prestazione sanitaria e socioassistenziale non è formale (cioè, non dipende dalla struttura o dal contratto), bensì sostanziale: va valutata la condizione clinica del paziente e il tipo di cura necessaria. Quando l’intervento sanitario non può essere separato da quello assistenziale, l’intera prestazione rientra nella competenza del SSN, ai sensi della legge n. 833/1978.

D.P.C.M. 14 febbraio 2001 e la classificazione delle prestazioni

L’entrata in vigore del D.P.C.M. 14 febbraio 2001 ha tentato di classificare le prestazioni in tre categorie:

  1. Prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, a carico delle ASL;
  2. Prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, a carico dei Comuni, con compartecipazione dell’utente;
  3. Prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, a carico del Fondo Sanitario Nazionale.

In quest’ultima categoria rientrano le cure per soggetti malati di Alzheimer o demenza grave, laddove le necessità terapeutiche siano intense, complesse e non riducibili a mera assistenza.

La giurisprudenza di merito: Foggia, Monza, Roma, Firenze

L’applicazione concreta di questi principi ha trovato conferma in numerose pronunce di merito. Il Tribunale di Foggia, con la sentenza n. 1153 del 26 settembre 2019, ha ritenuto che i pazienti affetti da demenza senile in fase avanzata abbiano diritto all’erogazione gratuita della prestazione, trattandosi di prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione, in cui la componente sanitaria è preminente.

Analogamente, il Tribunale di Monza (sentenza n. 617/2017) e la Corte d’Appello di Milano (sentenza del 27 maggio 2019) hanno confermato che la necessità di trattamenti sanitari continuativi comporta l’obbligo del SSN a farsi carico della retta, anche quando la struttura non è formalmente ospedaliera.

Ma sono significative anche due ulteriori pronunce:

  • Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 12180 del 13 giugno 2018, ha condannato la ASL Roma alla restituzione delle rette indebitamente pagate per un paziente affetto da Alzheimer, riconoscendo la natura sanitaria prevalente delle cure e l’assenza di un valido contratto.
  • Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1010/2018, ha escluso la possibilità di configurare un rapporto privatistico contrattuale, affermando che si è in presenza di un servizio pubblico sanitario, e che l’obbligo di pagamento grava per il 50% sul SSN regionale e per il 50% sul Comune.

Più recentemente, con sentenza del 15 febbraio 2023, lo stesso Tribunale di Firenze ha ribadito che, quando le prestazioni fornite sono ad elevata integrazione sanitaria, il paziente non è tenuto a pagare la retta, e ha disposto la restituzione delle somme versate, condannando l’Azienda USL Toscana Centro e la struttura RSA.

La posizione della Cassazione: l’integrazione vince sulla prevalenza

Le sentenze della Corte di Cassazione più recenti hanno ulteriormente rafforzato questa posizione:

  • Con la sentenza n. 13714/2023, la Corte ha affermato che non si può distinguere tra prestazioni sanitarie e assistenziali quando sono integrate e inscindibili;
  • Con l’ordinanza n. 25660/2023, ha chiarito che non conta la prevalenza quantitativa delle cure sanitarie, ma la loro necessità e integrazione funzionale con l’assistenza;
  • Con la sentenza n. 4752 del 22 febbraio 2024, la Cassazione ha ribadito che tutte le prestazioni strumentali alla cura sanitaria sono a carico del SSN, e nessun contributo può essere richiesto al paziente;
  • Infine, con l’ordinanza n. 26943 del 17 ottobre 2024, ha confermato l’orientamento consolidato.

Il diritto alla restituzione delle rette pagate

Chi ha pagato somme non dovute ha diritto di agire per il loro rimborso. Si tratta di ripetizione dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), con prescrizione decennale. L’azione può essere promossa:

È fondamentale allegare:

  • documentazione clinica;
  • ricevute dei pagamenti;
  • eventuali piani terapeutici personalizzati;
  • e, ove necessario, richiedere una CTU per accertare la natura delle prestazioni ricevute.

Conclusioni

Alla luce della più recente giurisprudenza, si può affermare con ragionevole certezza che:

  • le prestazioni fornite a soggetti malati di Alzheimer o demenza grave sono da qualificarsi come sanitarie ad elevata integrazione;
  • esse sono a carico del SSN, senza possibilità per gli enti di rivalersi sul paziente o sui familiari;
  • i versamenti già effettuati possono essere recuperati, anche giudizialmente.

La prudenza impone di valutare caso per caso, ma il quadro giuridico è ormai chiaro: il diritto alla salute prevale su qualsiasi accordo di natura patrimoniale.

Avv. Giorgio Falini

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